Le dichiarazioni di Trump sulla Groenlandia preoccupano gli europei e preannunciano una ‘nuova normalità’ nelle relazioni con gli Stati Uniti. Fonte ISPI
Nel 2019 l’idea di Donald Trump di comprare la Groenlandia dalla Danimarca fu considerata l’ennesima provocazione del tycoon, allora al suo primo mandato alla Casa Bianca. Ma oggi, con Trump di nuovo nello Studio Ovale, la questione torna all'ordine del giorno e preoccupa l’Europa. Quando il primogenito del presidente, Donald Trump Jr. è approdato sull’isola per una trovata pubblicitaria, suo padre ha promesso di “rendere la Groenlandia di nuovo grande" sui social media. Da allora ha definito la proprietà americana della Groenlandia come “una necessità assoluta” per la sicurezza nazionale americana. E ha ribadito il concetto in una telefonata con la premier danese Mette Fredriksen, i cui toni sono stati definiti “controversi e aggressivi”. Alti funzionari europei informati sulla chiamata – riferisce il Financial Times – hanno dichiarato che la conversazione è andata “molto male”. Un altro segnale – unitamente alle dichiarazioni di annessione del Canale di Panama e persino del Canada, e a pochi giorni dalla crisi-lampo con la Colombia sui rimpatri di migranti irregolari, rientrata nel giro di 48 ore dopo che Washington ha minacciato Bogotà di imporre dazi del 50% sulle merci colombiane in arrivo negli Usa – che alimenta le preoccupazioni europee sul fatto che il ritorno di Trump al potere possa rivelarsi un terremoto senza precedenti per le relazioni con gli alleati. La strategia, finora, è quella di ignorare il rumore e concentrarsi su ciò che Trump fa realmente. Evitare una guerra di parole, ove possibile, è considerato l’approccio migliore, a Copenaghen come a Bruxelles. Almeno fin quando dalle parole qualcuno non passi ai fatti.
La Groenlandia ha un’estensione di oltre 2 milioni di chilometri quadrati, circa sei volte la Germania. È la più grande isola del pianeta, e con soli 57mila abitanti, è anche il territorio meno densamente abitato. La maggior parte dell’isola è ricoperta da ghiacci perenni, ma si prevede che con la crisi climatica in atto le cose cambieranno, sulla terraferma come intorno ad essa, e le sue acque perciò torneranno ad essere navigabili per diversi mesi all’anno. E grazie alla sua posizione, la ‘Terra Verde’ sarà imprescindibile e strategica per controllare le nuove rotte marittime dell’Artico. Il sottosuolo poi è ricco di importanti giacimenti di idrocarburi, uranio e oro e l’isola rappresenta un’enorme riserva di terre rare, di cui l’Europa è priva e di cui ha bisogno per sviluppare batterie ad alta capacità, auto elettriche e la sua intera strategia di ‘transizione energetica’ entro il 2050. Pur essendo autonomo, il territorio fa parte del Regno di Danimarca, stato fondatore della Nato e membro dell’Unione Europea, il che fa dei suoi abitanti dei cittadini comunitari. La Groenlandia, inoltre, è coperta dalla clausola di difesa reciproca prevista dai trattati europei, per la qualegli Stati membri hanno un “obbligo di aiuto e assistenza” se un altro Stato membro è “vittima di un’aggressione armata sul suo territorio”. Il suo status, tuttavia, non impedisce agli Stati Uniti di avere una base militare sul territorio artico, che è una parte importante del suo sistema di difesa missilistica.
Make Greenland great again?
Non è la prima volta che Washington guarda alla grande isola danese. Già nel 1867, gli Stati Uniti avevano offerto di acquistare la Groenlandia e l’Islanda (anch’essa allora danese, poiché la sua indipendenza arrivò solo nel 1918), approfittando dell’acquisto dell’Alaska dalla Russia. La Groenlandia fu di fatto sottoposta a controllo americano per alcuni anni durante la Seconda Guerra Mondiale, poiché dopo l’occupazione nazista della Danimarca, gli americani non volevano che i tedeschi prendessero l’isola. Alla fine della guerra, Copenaghen rifiutò un’offerta di 100 milioni di dollari da parte di Washington per acquistarla. Nel 2019 Trump riaprì la questione, dichiarando che per gli Stati Uniti sarebbe stato “un affare eccellente”. Il governo danese, allora come oggi, dichiarò di non essere intenzionato a vendere, e il governo di Nuuk affermò di non voler diventare americano. Oggi, un sondaggio condotto dalla società di ricerca Verian per il quotidiano Sermitsiaq in Groenlandia e per il danese Berlingske mostra che solo il 6% dei residenti vuole unirsi agli Stati Uniti, mentre l’85% dei groenlandesi non vuole che l'isola diventi parte degli Stati Uniti. |
La prima ministra danese Mette Frederiksen non tratta più la questione come una provocazione ormai da tempo.“Non ci siamo mai trovati in un momento così difficile” ha ammesso, parlando del momento più ampio nel continente, data la guerra della Russia in Ucraina, ma anche del ritorno dirompente di Trump, e ha aggiunto: “C’è solo un modo per superare tutto questo, ed è una cooperazione europea sempre più stretta e forte”. Così questa settimana ha fatto la spola tra Parigi, Berlino e Bruxelles per incontrare i suoi omologhi. “Ci deve essere rispetto per il territorio e la sovranità degli stati. Questa è una pietra angolare assolutamente cruciale dell'ordine mondiale internazionale che abbiamo costruito dalla seconda guerra mondiale”. La Danimarca ha chiesto ai suoi alleati europei di mantenere un profilo basso e di non infiammare la situazione, ma ormai nessuno sembra più farsi illusioni sulle intenzioni del presidente americano. Lunedì 27 gennaio il governo danese ha annunciato investimenti militari per oltre 2 miliardi di euro per la “sicurezza della regione Artica” in collaborazione con i territori autonomi della Groenlandia e delle isole Faroe. “Hanno aggiunto un paio di cani a delle slitte pensando che fosse una protezione”, è stato il commento rilasciato da Trump ai giornalisti sull’Air Force One. La questione è tanto più grave perché le pressioni, robuste e irrituali di Washington, riguardano tutto il continente e potrebbero diventare la norma nelle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, almeno per i prossimi quattro anni. Mosca e Pechino, entrambe in competizione per una posizione nell’Artico, osservano con attenzione ogni possibile crepa tra gli alleati.